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Trento, 28 marzo 2013
Provinciali 2013
Cosa faranno i Verdi del Trentino

di Marco Boato
da l’Adige di giovedì 28 marzo 2013

A chi si interroga su quale sia la posizione degli ecologisti e dei Verdi in Trentino, va risposto con chiarezza che questi si collocano nell’ambito del centrosinistra autonomista, che hanno contribuito a costruire dal 1998, fin da quando il Patt stava ancora all’opposizione col centrodestra. Ma sarà necessario che lo spirito di coalizione prevalga sulle logiche di parte e sulle rinnovate presunzioni di «autosufficienza», che si è visto dove possono portare.

Merita ricordare come sono andati i fatti negli ultimi mesi, e come mai i Verdi hanno assunto una posizione diversa nelle recenti elezioni Politiche nazionali.

Il 28 dicembre 2012, dopo uno scambio di messaggi, ho ricevuto, insieme al presidente nazionale dei Verdi Angelo Bonelli, l’ultima risposta da parte di Maurizio Migliavacca, che ha gestito, per conto del segretario nazionale Pierluigi Bersani, tutte le trattative per i rapporti col Pd e con la coalizione di centrosinistra, che si stava formando dopo le formali dimissioni di Mario Monti il 21 dicembre e lo scioglimento anticipato del Parlamento da parte del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il giorno successivo. Con Migliavacca, nell’arco dei tre mesi autunnali, c’erano stati tre incontri diretti a Roma: al secondo, il 16 novembre avevo preso parte anch’io e avevamo ricevuto ampie assicurazioni sulla partecipazione dei Verdi alla coalizione di centrosinistra, con l’impegno reciproco di aspettare comunque l’esito delle Primarie del Pd (nelle quali si confrontavano Bersani e Renzi) e di verificare quale sarebbe stata alla fine la legge elettorale (della cui riforma si stava ancora discutendo al Senato).

Ancora nei giorni immediatamente precedenti il Natale, il messaggio di Migliavacca a Bonelli era di rivedersi immediatamente dopo le festività (il 27 dicembre). E invece, con nostra grande sorpresa, dopo tre mesi di contatti, il 28 dicembre era arrivata, via Sms (che conservo ancora in memoria), la risposta negativa. Cos’era successo dunque per un così repentino e inaspettato cambiamento?

Purtroppo c’è un’unica spiegazione. Mentre in precedenza si ipotizzava una modifica della legge elettorale, che avrebbe introdotto la soglia del 40% per poter ottenere il premio di maggioranza del 55% (soglia auspicata ripetutamente anche dal presidente Napolitano, sulla scorta di una sentenza della Corte costituzionale, nella quale venivano sollevati dubbi di costituzionalità sul «Porcellum», per quanto riguardava l’inesistenza in quella legge sciagurata di una ragionevole soglia di ammissibilità per il premio di maggioranza), la crisi di Governo e lo scioglimento anticipato delle Camere aveva prodotto, tra i tanti guasti, anche l’effetto di mantenere in vita il «Porcellum» senza alcuna minima modifica. Basti pensare che nel 1953 fu definita dal Pci «legge truffa» quella fatta approvare da Alcide Degasperi, che prevedeva il premio di maggioranza solo per chi avesse superato il 50% dei voti (e quel premio non scattò per soli 50.000 voti, dopo di che la legge stessa fu subito abrogata e fu la fine politica di Degasperi, che morì l’anno dopo). Il «Porcellum», più che alla «legge truffa» assomiglia dunque alla legge Acerbo, fatta approvare da Mussolini dopo la crisi seguita all’assassinio di Giacomo Matteotti.

Ebbene, alla fine del dicembre scorso i sondaggi attribuivano al Pd un amplissimo margine di vantaggio rispetto al Pdl, e quindi il Pd, rimanendo in vigore il «Porcellum» senza alcuna modifica, ritenne di non avere alcun bisogno di allargare la propria coalizione, oltre a Sel e al Centro democratico che già ne facevano parte. Quest’ultimo ha ottenuto 6 deputati con la percentuale risibile dello 0,4%, mentre neppure Sel ha superato il 4%, soglia imposta a chi non apparteneva alle coalizioni, e ha comunque ottenuto 37 deputati.

Con nostro grande disappunto, era dunque nuovamente scattata quella presunzione di “autosufficienza”, che già era stata fatale per Walter Veltroni nel 2008 (il quale comunque ottenne, per la sua coalizione con l’Idv, il 36%, mentre Bersani ha ottenuto il 24-25 febbraio 2013 solo poco più del 29%, appena lo 0,3% sopra la coalizione di Berlusconi: Bersani ha vinto alla Camera grazie ai voti della Svp, senza i quali avrebbe vinto Berlusconi.

Preso atto il 28 dicembre dell’improvviso rifiuto del Pd, i Verdi – per non rimanere totalmente fuori dal confronto elettorale – hanno accolto l’invito di Antonio Ingroia di partecipare alla alleanza elettorale della lista «Rivoluzione civile», che poi non è riuscita a superare la soglia del 4%. La sconfitta di «Rivoluzione civile», che è rimasta stritolata dalla morsa tra il «voto utile» a Bersani – di fronte alla progressiva rimonta di Berlusconi – e il voto massiccio di protesta e di alternativa polarizzato sul M5S di Grillo, ha segnato inevitabilmente la fine di questa esperienza, che molti Verdi, e non solo, hanno vissuto con impegno, ma anche con sofferenza rispetto alla loro collocazione storica «da sempre» nell’ambito del centrosinistra.

Del resto, in Trentino-Alto Adige, anche l’Upt, aderendo alla lista Monti con Dellai, si è trovato nelle ultime elezioni politiche fuori da quello che definirei il «centrosinistra ristretto» Pd-Sel.

Forse ora, vista la vittoria risicatissima alla Camera e la sostanziale sconfitta al Senato – che ha provocato l’impasse attuale – il Pd tornerà a riflettere sul danno determinato dalla presunzione di «autosufficienza» e dalla illusione della sostanziale scomparsa del centrodestra. Basti ricordare non solo l’esperienza già fatta da Veltroni, ma, più indietro nel tempo, la «gioiosa macchina da guerra» dei Progressisti di Achille Occhetto nel 1994, sconfitti dal primo ingresso in campo di Berlusconi. Solo Romano Prodi, prima con l’Ulivo nel 1996 e poi con l’Unione nel 2006, è riuscito a sconfiggere per due volte Berlusconi, ma la seconda volta solo per 25.000 voti alla Camera e per un senatore in più nell’altro ramo del Parlamento (con le traversie che poi hanno portato alla sua caduta meno di due anni dopo, nel gennaio 2008).

Il centrosinistra autonomista nel Trentino, in vista delle elezioni provinciali del 27 ottobre, si troverà di fronte a problemi analoghi, tanto più dopo l’esplosione elettorale del M5S e la nascita di «Progetto Trentino» di Silvano Grisenti (che ha avuto la spudoratezza di presentarsi come «il Grillo del Trentino»). I Verdi – insieme agli Eco-civici, con cui hanno intrapreso un percorso di rinnovamento e di rilancio, che dura da due anni – continueranno a far parte del centrosinistra autonomista. Ma c’è da esprimere forte  preoccupazione per la lentezza con cui si sta avviando la nuova coalizione (l’ultima riunione risale al 7 gennaio scorso) e per la discussione, finora solo giornalistica, solo sui nomi dei possibili candidati alle Primarie di coalizione, e non sulle caratteristiche politico-programmatiche della stessa coalizione, che dovrà affrontare sfide ben più ardue di quelle del passato, in una situazione di drastica riduzione delle risorse e di profonda crisi economico sociale e ambientale.

E ancora maggiore preoccupazione va espressa rispetto alla crisi e alle elezioni anticipate di Pergine, terza città del Trentino, dove i due partiti che hanno evidenziato le maggiori debolezze della coalizione (il Patt col caso dell’assessore Beber e l’Upt col più grave caso del sindaco Corradi, dimissionario e anzi dimissionato) stanno manifestando posizioni di rifiuto rispetto a quelle Primarie di coalizione, proposte dal Pd e anche dai Verdi, che invece chiedono, giustamente del resto, a gran voce sul piano provinciale.

Marco Boato
Già senatore della Repubblica

 

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